Giorno 31.
Terzo ciclo di chemioterapia (Trattamento EC in regime “dose-dense”).
È la prima volta che ho paura. Mi sento come una bambina che piagnucola dal pediatra. O come un cane che guaisce dal veterinario, se si preferisce. La paura è cosa di umani e di bestie, non fa distinzione. E nemmeno va raccontata con parole sentimentali: è un’emozione semplice, innata, primordiale.
Il cervello memorizza un’esperienza spiacevole, la identifica come un pericolo e fa di tutto per non averci più niente a che fare e mettersi in salvo. Semplice.
Il ciclo precedente di chemio mi ha tramortito con una mucosite alla gola abbastanza grave e dolorosa, la flebite al braccio sinistro, la tosse bastarda, la febbre puttana e un paio di corse urgenti in ospedale – intanto, i miei capelli se ne andavano via, a macchie.
Per me, quindi, tornare oggi nella stanzetta delle terapie ha il peso di una profezia sciagurata.
[Comunque mi sento più cane dal veterinario che bambina dal pediatra]
Però, i valori del mio sangue sono ancora pressoché impeccabili (va bene, qualche cosetta da ridire ce l’ha sempre il fegato, ma si sa). I globuli bianchi continuano a difendermi eroicamente e non crollano.
Allora, mi ha detto la mia oncologa stamattina, possiamo sì proseguire il nostro schema “dose-dense” (cioè un trattamento più intensivo, ogni 15 giorni invece che ogni 21), ma la paziente sono io ed “è lo schema che si adatta al paziente, non il paziente allo schema”: in base a come mi sento, perciò, posso scegliere se rimandare il trattamento alla settimana prossima e riposarmi ancora un po’. Naturalmente, se decido di procedere oggi, devo accettare l’ipotesi che la mia gola, già ulcerata dai cicli precedenti di chemio, possa non avere il tempo di recupero di cui ha bisogno. Come versare olio bollente su pelle già ustionata, insomma.
Ma io, da un paio di giorni e solo grazie ai preziosi consigli di un amico tanguero (Gio il Fuz, ti abbraccio), ho Mucosamin Spray sul comodino. Si fottano le mucose. Gli ci fumo sopra una Lucky Strike, se mi va.
Procediamo, dico io alla mia oncologa, ché ormai la maglietta del terzo giro me la sono messa. E muovetevi, prima che ci ripenso.
Gli amuleti del giorno sono tre:
- La t-shirt di stavolta è un regalo di Cristina P.: una delle persone più straordinarie che mi sono capitate nella vita. Con lei ho condiviso un’esperienza di lavoro molto importante. Sono proprio soddisfatta di questa maglietta; non è solo esilarante: è esatta [Per chi non riesce a leggere: c’è scritto “Tette biscottate”].
- Calzini (sempre da Dedoles): stavolta girasoli, tra i fiori che più amo perché sono grossi, rustici, giallissimi, possibilisti verso il cielo, fragili e bisognosi, fieri e malinconici. Ho in mente una foto del 2017 in un campo di girasoli giganti. Era luglio, tramontava il sole. Si stava bene. Io avevo un vestitino rosso leggero leggero, un taglio sbarazzino di capelli abbastanza corti, una vita tranquilla, 36 anni, e lo sguardo contrariato di sempre. È rimasto solo lo sguardo contrariato. I girasoli, comunque, significano ancora molto per me.
- La felpa dello staff di Arcobaleno Tango Marathon, dov’ero fino a pochi giorni fa, perché così il ricordo della cosa bella che abbiamo fatto insieme – tutti noi di Mil Pasos – mi abbraccia e mi mette allegria.
La puntata di oggi della “PinkInk Series”, voglio sfumarla su mia madre.
Mia madre oggi ha un principio di colica renale che la sfianca, ma è voluta venire lo stesso con me – come fa anche mio padre finché un’influenza non lo mette a letto; come farebbe ogni persona cara della mia vita, se io glielo permettessi (se io glielo permettessi, mi presenterei sempre in ospedale con un ragguardevole “entourage” di familiari e amici al seguito, che poi si distribuirebbe a presidiare fra il reparto, la cappella del reparto, il bar e l’ingresso al pianoterra).
Mia mamma, quando faccio la chemioterapia, si sistema su una sediola e aspetta tutta la mattina. Dopo ogni trattamento, mi fa il brodo di pollo per pranzo. Ma oggi ha fatto di più: ha detto a tutte le infermiere del reparto di oncologia che la prossima volta porterà una crostata fatta da lei. Perché, mamma, perché? “Perché così ci fanno merenda, no? Sono tanto gentili!”.
Secondo me, mia mamma in questo reparto si trova bene: è a suo agio, si muove in autonomia, parla e scherza con tutti, va al bagno senza schifarsi, scende sotto al bar a prendermi l’orzo e poi torna su da sola senza perdersi.
Può essere che qua, a oncologia, ci torniamo pure in futuro, quando avrò finito tutti questi cicli di chemio. Ma solo per portare la merenda alle infermiere gentili.
[…] 2 volte in ottobre, prima dell’intervento. Magari gli porterò una delle crostate di mia madre, che fa crostate per le infermiere gentili del reparto. Non sarà, non è più, tempo di fragole, ma i frutti dell’autunno sono altrettanto […]
[…] Sono ancora regolari, quindi, i miei passaggi al reparto di Oncologia a studiare lo sguardo delle infermiere gentili, i dipinti appesi alle pareti, il rosso delle poltrone in sala d’attesa, i libri nello […]