31 giorni dopo la mastectomia
La settimana prossima tornerò in sala operatoria.
La mia ferita guarisce troppo lentamente (come tutte le mie ferite, gli squarci incorporei e “ogni mia cosa trafitta”). I mesi di chemioterapia neoadiuvante, dalla primavera all’inizio dell’autunno, m’hanno giustiziato un po’ di piastrine.
Forse sarà un intervento breve, pochi minuti; forse no, di più. Potrebbe essere necessario estrarre la protesi, messa appena un mese fa, e darle un’occhiata. In quel caso, allora, un’altra anestesia totale mi manderà in quel posto meraviglioso dove non c’è dolore.
Ero alla quarta medicazione, l’altro giorno, quando la dottoressa, dopo aver osservato a lungo e con occhi contrariati il taglio essenziale che mi percorre dall’ascella all’areola del capezzolo, me l’ha detto gentile, ma ferma: bisogna tornare in sala, un punto di 3 millimetri non si chiude.
Non l’ho presa bene.
Però, lungo il viaggio di ritorno a casa, 530 chilometri in auto, ridevo, ascoltavo Max Gazzè e mangiavo la Cinnamon Twist dell’Autogrill. Si può reagire in molti modi alle cattive notizie.
Anche questa settimana, poi, mi sono accadute cose. Per esempio, sono svenuta (perché i fatti della vita mi fanno male. I più importanti, li penso e li scrivo spesso fra parentesi, affinché facciano meno rumore).
Domani mangerò un’altra Cinnamon Twist e lunedì mattina entrerò al San Raffaele di Milano per la decima volta quest’anno, forse l’undicesima, non ricordo.
È stato, d’altra parte, un anno ingombrante per la memoria. Ho pensato che mi piacerebbe poter rimuovere certi ricordi dal mio cervello, come in quel film di Michel Gondry.
Cosa vorrei dimenticare?
Qualche sera fa sono andata in un piccolo cinema a vedere Mi fanno male i capelli.
C’è una scena in cui il neurologo dice al marito della donna che sta perdendo la memoria: “Importante è ricordare, ma più importante è dimenticare“. Qualcosa che aveva già detto Rainer Maria Rilke, mi pare.
Cosa vorrei dimenticare?
Quest’anno, il Natale l’ho fatto iniziare oggi.
Nel pomeriggio ho fatto l’albero vicino alla libreria nuova, messo le lucine, appeso la vecchia stella di carta al solito posto fra le due lampade sospese sul tavolo. Un vinile di Billie Holiday sul giradischi, un paio di candele accese, tarte in cera di soia nel brucia essenze. Mancava solo il profumo dei biscotti nel forno, ma per quelli c’è tempo: ho ancora un braccio solo per impastare con la giusta energia. Gli addobbi natalizi, intanto, mi aiutano a sentirmi più vicina alla fine, credo, di questa dannata annata.
Scriverò una lettera a Babbo Natale, ecco la novità.
L’ultima, penso di averla scritta trentacinque anni fa.
Ho perfino comprato la carta e la busta che una madre comprerebbe a un figlio di non più di otto, nove anni.
Ho tanto da chiedere. Alcuni dei miei desideri sono irrealizzabili e teneri come quelli dei bambini, altri no. Quelli no, comunque, sono perlopiù pretenziosi.
All’albero ho appeso anche un biglietto di auguri che la mia amica Mara, veterana di chemioterapie, mi aveva scritto per accompagnare il regalo di Natale dell’anno scorso: “Non è importante dove saremo tra un mese o un anno, ma chi ci accompagnerà durante il tragitto”.